A Henry LEE
Monticello, 8 Maggio 1825
Caro signore,
- Il fatto che George Mason fu autore del "Bill of Rights", e della Costituzione che su di essi era fondata, è chiaramente fissato nella mia mente dai fatti. Delle carte a cui Vi riferite, ritenute le istruzionei alla delegazione della Virginia al Congresso, io non ho memoria. Fossero state qualcosa di più di un progetto di natura privata, vale a dire, se simili istruzioni fossero state date dalla convenzione, apparirebbero nelle registrazioni, che noi possediamo per intero. Ma rispetto ai nostri diritti, e le azioni del governo Britannico contrari ad essi, vi era soltanto un'opinione da questa parte dell'oceano.
Tutti i "whigs" Americani la pensano allo stesso modo su quest'argomento. Benchè forzati a ricorrere alle armi per rimediare, un appello al tribunale del mondo fu ritenuto appropriato per giustificarci.
Questo fu l'oggetto della Dichiarazione d'Indipendenza. Non la ricerca di nuovi principi, o nuove questioni mai pensate prima, nemmeno per dire cose che non erano mai state dette prima; ma per porre innanzi all'umanità il buon senso dell'argomento, in termini così chiari e fermi da imporre il loro consenso, e giustificaci nella posizione indipendentista che fummo costretti ad adottare. Mai mirata all'originalità dei principi o dei sentimenti, nemmeno copiata da qualsivoglia particolare e precedente scritto, era destinata ad essere l'espressione dello stato d'animo Americano, e a dare a quell'espressione il tono e lo spirito più appropriato che l'occasione richiedesse. Tutta la sua autorità risiede allora nei sentimenti d'armonia di quel giorno, in qualsivoglia modo espressi, in conversazioni, in lettere, pamphlet o i più elementari libri di diritti civili, come Aristotele, Cicerone, Locke, Sidney e altri. Sono convinto che troverete che i documenti storici in vostro possesso che Voi menzionate, proveranno i fatti e i principi scritti in quella Dichiarazione.
Abbiate il piacere di accettare le assicurazioni della mia più grande stima e rispetto.
Jeffersoniana
24 agosto, 2011
30 ottobre, 2010
Mentecatti
A Mathew Carey
Poplar Forest, nei pressi di Lynchburg, 11 Novembre 1816
Caro Signore,
-- ho ricevuto qui (dove passo una gran quantità del mio tempo) la Vostra del 22 Ottobre, che parla di un prospetto della nuova edizione della vostra "Olive Branch". La sottoscrivo con piacere, poichè ritengo abbia fatto e continuerà a fare un gran bene, nel tenere uno specchio davanti ad entrambi i partiti, rendendo manifesti ad entrambi i loro errori politici. Parte dei quali sono miei, non sono abbastanza vanitoso per dubitarne, e qualcuno l'ho davvero riconosciuto. Comunque ve n'è uno nel vostro libro che io non riconosco, benchè a me attribuito, e siccome questo è l'argomento di questa lettera, e ho la penna in mano, poco dirò su di esso. E' la mia decisione di respingere un trattato con la Gran Bretagna senza sottoporlo al Senato. Credo che non sia mai stato negato che un presidente abbia il diritto di rifiutare un trattato dopo che la sua ratifica sia stata consigliata dal Senato, quindi di certo egli può farlo prima di quel consiglio: e nel caso egli abbia già preso la decisione di respingerlo, è più rispettoso nei confronti del Senato farlo senza piuttosto che contro il loro consiglio. Non si può dire che il loro consiglio possa metterlo in una luce diversa. Il loro consiglio altro non è se non una spoglia risoluzione fatta di "si" o "no", senza assegnare una singola ragione o motivo.
Mi chiedete se ho intenzione di pubblicare alcunchè sull'argomento della mia lettera all'amico Charles Thompson? Sicuramente no. Non scrivo per pubblicare, e men che meno sull'argomento religione. Sui dogmi della religione così come sono separati dai principi morali, gli uomini, dall'inizio del mondo fino ad oggi, hanno litigato, si sono combattuti, bruciati e torturati vicendevolmente, per astrazioni incomprensibili a loro stessi e agli altri, e completamente al di fuori della comprensione della mente umana. Se entrassi in tale arena, non farei altro se non aggiungere una mera unità al numero dei mentecatti.
Accettate le asssicurazioni della mia grande stima e rispetto.
Thomas Jefferson
Poplar Forest, nei pressi di Lynchburg, 11 Novembre 1816
Caro Signore,
-- ho ricevuto qui (dove passo una gran quantità del mio tempo) la Vostra del 22 Ottobre, che parla di un prospetto della nuova edizione della vostra "Olive Branch". La sottoscrivo con piacere, poichè ritengo abbia fatto e continuerà a fare un gran bene, nel tenere uno specchio davanti ad entrambi i partiti, rendendo manifesti ad entrambi i loro errori politici. Parte dei quali sono miei, non sono abbastanza vanitoso per dubitarne, e qualcuno l'ho davvero riconosciuto. Comunque ve n'è uno nel vostro libro che io non riconosco, benchè a me attribuito, e siccome questo è l'argomento di questa lettera, e ho la penna in mano, poco dirò su di esso. E' la mia decisione di respingere un trattato con la Gran Bretagna senza sottoporlo al Senato. Credo che non sia mai stato negato che un presidente abbia il diritto di rifiutare un trattato dopo che la sua ratifica sia stata consigliata dal Senato, quindi di certo egli può farlo prima di quel consiglio: e nel caso egli abbia già preso la decisione di respingerlo, è più rispettoso nei confronti del Senato farlo senza piuttosto che contro il loro consiglio. Non si può dire che il loro consiglio possa metterlo in una luce diversa. Il loro consiglio altro non è se non una spoglia risoluzione fatta di "si" o "no", senza assegnare una singola ragione o motivo.
Mi chiedete se ho intenzione di pubblicare alcunchè sull'argomento della mia lettera all'amico Charles Thompson? Sicuramente no. Non scrivo per pubblicare, e men che meno sull'argomento religione. Sui dogmi della religione così come sono separati dai principi morali, gli uomini, dall'inizio del mondo fino ad oggi, hanno litigato, si sono combattuti, bruciati e torturati vicendevolmente, per astrazioni incomprensibili a loro stessi e agli altri, e completamente al di fuori della comprensione della mente umana. Se entrassi in tale arena, non farei altro se non aggiungere una mera unità al numero dei mentecatti.
Accettate le asssicurazioni della mia grande stima e rispetto.
Thomas Jefferson
17 ottobre, 2010
A Crusade Against Ignorance
A George Wythe
Parigi, 13 Agosto, 1786
CARO SIGNORE
-- Le Vostre del 10 Gennaio e del 10 Febbraio mi sono arrivate il 20 e il 2 di Maggio. Ho approfittato della prima opportunità che mi è capitata, attraverso un gentiluomo che si recava in Inghilterra, di spedire al Signor Joddrel una copia delle note sul nostro paese ["Notes on the State of Virginia", 1781 – 2/3, ndG], con una riga per informarlo che siete stato Voi ad incoraggiarmi a prendere questa libertà.
Madison, senza dubbio, Vi avrà informato della ragione per cui ho spedito solo una singola copia in Virginia. Avendomi egli assicurato che non avrebbero causato il danno che temevo, ma che al contrario avrebbero potuto fare del bene, mi prefiggo di inviare colà le copie che mi rimangono, che sono meno di quelle che mi prefiggevo. Ma tra le numerose correzioni di cui abbisognano, ci sono una o due copie così essenziali come avrei dovuto farle, stampando pochi nuovi fogli e sostituirli ai vecchi. Questo sarà fatto mentre stamperanno una mappa del paese che ho disegnato, dalla laguna di Albermarle al lago Eire, e che sarà inserita nel libro. Una pessima traduzione francese che viene ora pubblicata qui, mi obbligherà probabilmente a pubblicare l'originale più liberamente, cosa per la quale non era concepita e neppure ne era degna.
I Vostri desideri, che per me sono legge, mi giustificheranno nell'inviarne una copia a Voi, oppure avrei dovuto pensare prima a mandarVi un abbecedario; perchè non v'è [nel libro] alcuna verità che non Vi sia già familiare, e con i suoi errori difficilmente mi sarei proposto di offrirVelo.
Appena ricevuta la Vostra, ho scritto ad un mio corrispondente a Firenze al fine di avere notizie sulla famiglia Tagliaferro, come da Vostro desiderio. Ho ricevuto la risposta due giorni fa, una copia della quale ora allego. L'originale sarà spedito da qualcuno in altra occasione.
Farò incidere la lastra di rame immediatamente. Potrebbe essere pronta in pochi giorni, ma è probabile che io debba aspettare a lungo un occasione per spedirVela, viste le rare occasioni. Voi non avete menzionato le dimensioni della lastra ma, presumendo che sia destinata a fare da etichetta per l'interno dei libri, l'ho fatta fare della misura appropriata. Ometterò la parola agisos, conformemente alla licenza che mi permettete, poichè penso che la bellezza di un motto sia nel condensare molta sostanza nel minor numero di parole possibili. La parola omessa sarà sostituita da ogni lettore.
I giornali europei hanno riportato che l'assemblea della Virginia era occupata nella revisione del loro codice legislativo. Questo, insieme ad altre informazioni similari, ha contribuito molto nel convincere il popolo europeo che quello che i giornali inglesi pubblicano, riguardo alla nostra anarchia, è falso; questo perchè sono consapevoli che un tale lavoro sia fattibile solo da persone in stato di perfetta tranquillità.
La nostra legge sulla libertà di culto è eccezionalmente gradita. Ambasciatori e ministri delle molte nazioni d'Europa che risiedono presso questa corte me ne hanno chiesto copie da inviare ai loro sovrani, ed è inserita, nella sua piena estensione, in molti libri che ora vengono stampati; tra questi la nuova Encyclopedie.
Penso che potrà produrre vantaggi considerevoli anche in quelle nazioni dove l'ignoranza e la superstizione, la povertà e l'oppressione fisica e mentale, in ogni forma, sono così fermamente stabilite nella massa del popolo, che la loro redenzione da esse non potrebbe mai essere sperata.
Se l'Onnipotente avesse procreato un migliaio di figli, anziché uno solo, probabilmente non sarebbero stati sufficienti per questo compito. Se tutti i sovrani d'Europa avessero voluto impegnarsi nel lavorare al fine di emancipare le menti dei loro sudditi dalla attuale ignoranza e pregiudizio, e con lo stesso zelo con cui oggi si sforzano nella direzione opposta, mille anni non sarebbero bastati a metterli nella posizione elevata della quale oggi i nostri comuni cittadini godono.
I nostri non avrebbero potuto affidarsi così completamente alle mani del loro stesso buon senso, se non fossero stati separati dalla stirpe dei loro padri e preservati dalla contaminazione, sia da parte di loro stessi, sia da parte di altri popoli del vecchio mondo, da un così vasto oceano.
Per riconoscere il valore di questo, se ne deve vedere il bisogno che si avverte qui.
Penso che la legge veramente più importante del nostro intero codice sia quella per la diffusione della conoscenza presso il popolo.
Non può essere escogitato altro sicuro fondamento per la conservazione della libertà e della felicità.
Se c'è qualcuno che pensa che re, nobili o preti siano buoni tutori della felicità pubblica, che li mandino qui. E' la migliore scuola per curarli da tale follia. Vedranno qui con i loro stessi occhi che quei generi d'uomo sono una depravata conventicola contro la felicità della gran parte del popolo.
L'onnipotenza delle conseguenze non può essere meglio accertata che in questo paese in particolare, ove nonostante il miglior suolo sulla terra, il migliore clima sotto i cieli e un popolo tra i più benevolenti, dal carattere più gioioso ed amabile di cui la forma umana sia capace, dove un tale popolo, dicevo, circondato da così tante benedizioni dalla natura, è tuttavia vittima della miseria per via dei re, dei nobili e dei preti, e da loro soltanto.
Predicate, signore mio caro, una crociata contro l'ignoranza; istituite e migliorate la legge per l'educazione della gente comune. Che i nostri compatrioti sappiano che solo il popolo può difenderci contro questi mali, e che le tasse che saranno pagate a tal fine non sono più della millesima parte di ciò che sarà pagato a re, preti e nobili che sorgeranno tra di noi se abbandoniamo il popolo all'ignoranza.
Il popolo d'Inghilterra, io penso, è meno oppresso che questo. Ma basterebbe un occhio soltanto per vedere che, presso di loro, sono poste le fondamenta per l'istituzione di un dispotismo dalla loro stessa indole. Nobiltà, ricchezza e fasto sono gli oggetti della loro adorazione. Essi non sono in nessun modo le persone di idee aperte come ce le immaginiamo in America. Le persone istruite sono troppo poche di numero, e sono meno istruite e infinitamente meno emancipate dal pregiudizio che quelle di questa nazione.
Sembra pure che si stia preparando un avvenimento, per come si stanno mettendo le cose, che deciderà probabilmente il destino di quella nazione. E' ormai certo che il porto di Cherburg sarà completato, che sarà eccellente, e abbastanza grande da contenere l'intera marina francese. Non per permettere a questa nazione di invadere l'altra, ma per dislocare una forza navale appropriata per proteggere i trasporti. Questa nuova situazione spingerà gli inglesi a mantenere un grosso esercito permanente, e non c'è re che, dotato di forze adeguate, non sia tentato dall'assolutismo.
Questa mia carta mi avverte che è tempo di raccomandarmi all'amichevole ricordo della Sig.ra Wythe, di Colo. Tagliaferro e della sua famiglia e in particolare del signor R. T.; e di assicurare Voi dell'affettuosa stima per la quale, caro Signore, sono
Vostro devotissimo e amico.
Parigi, 13 Agosto, 1786
CARO SIGNORE
-- Le Vostre del 10 Gennaio e del 10 Febbraio mi sono arrivate il 20 e il 2 di Maggio. Ho approfittato della prima opportunità che mi è capitata, attraverso un gentiluomo che si recava in Inghilterra, di spedire al Signor Joddrel una copia delle note sul nostro paese ["Notes on the State of Virginia", 1781 – 2/3, ndG], con una riga per informarlo che siete stato Voi ad incoraggiarmi a prendere questa libertà.
Madison, senza dubbio, Vi avrà informato della ragione per cui ho spedito solo una singola copia in Virginia. Avendomi egli assicurato che non avrebbero causato il danno che temevo, ma che al contrario avrebbero potuto fare del bene, mi prefiggo di inviare colà le copie che mi rimangono, che sono meno di quelle che mi prefiggevo. Ma tra le numerose correzioni di cui abbisognano, ci sono una o due copie così essenziali come avrei dovuto farle, stampando pochi nuovi fogli e sostituirli ai vecchi. Questo sarà fatto mentre stamperanno una mappa del paese che ho disegnato, dalla laguna di Albermarle al lago Eire, e che sarà inserita nel libro. Una pessima traduzione francese che viene ora pubblicata qui, mi obbligherà probabilmente a pubblicare l'originale più liberamente, cosa per la quale non era concepita e neppure ne era degna.
I Vostri desideri, che per me sono legge, mi giustificheranno nell'inviarne una copia a Voi, oppure avrei dovuto pensare prima a mandarVi un abbecedario; perchè non v'è [nel libro] alcuna verità che non Vi sia già familiare, e con i suoi errori difficilmente mi sarei proposto di offrirVelo.
Appena ricevuta la Vostra, ho scritto ad un mio corrispondente a Firenze al fine di avere notizie sulla famiglia Tagliaferro, come da Vostro desiderio. Ho ricevuto la risposta due giorni fa, una copia della quale ora allego. L'originale sarà spedito da qualcuno in altra occasione.
Farò incidere la lastra di rame immediatamente. Potrebbe essere pronta in pochi giorni, ma è probabile che io debba aspettare a lungo un occasione per spedirVela, viste le rare occasioni. Voi non avete menzionato le dimensioni della lastra ma, presumendo che sia destinata a fare da etichetta per l'interno dei libri, l'ho fatta fare della misura appropriata. Ometterò la parola agisos, conformemente alla licenza che mi permettete, poichè penso che la bellezza di un motto sia nel condensare molta sostanza nel minor numero di parole possibili. La parola omessa sarà sostituita da ogni lettore.
I giornali europei hanno riportato che l'assemblea della Virginia era occupata nella revisione del loro codice legislativo. Questo, insieme ad altre informazioni similari, ha contribuito molto nel convincere il popolo europeo che quello che i giornali inglesi pubblicano, riguardo alla nostra anarchia, è falso; questo perchè sono consapevoli che un tale lavoro sia fattibile solo da persone in stato di perfetta tranquillità.
La nostra legge sulla libertà di culto è eccezionalmente gradita. Ambasciatori e ministri delle molte nazioni d'Europa che risiedono presso questa corte me ne hanno chiesto copie da inviare ai loro sovrani, ed è inserita, nella sua piena estensione, in molti libri che ora vengono stampati; tra questi la nuova Encyclopedie.
Penso che potrà produrre vantaggi considerevoli anche in quelle nazioni dove l'ignoranza e la superstizione, la povertà e l'oppressione fisica e mentale, in ogni forma, sono così fermamente stabilite nella massa del popolo, che la loro redenzione da esse non potrebbe mai essere sperata.
Se l'Onnipotente avesse procreato un migliaio di figli, anziché uno solo, probabilmente non sarebbero stati sufficienti per questo compito. Se tutti i sovrani d'Europa avessero voluto impegnarsi nel lavorare al fine di emancipare le menti dei loro sudditi dalla attuale ignoranza e pregiudizio, e con lo stesso zelo con cui oggi si sforzano nella direzione opposta, mille anni non sarebbero bastati a metterli nella posizione elevata della quale oggi i nostri comuni cittadini godono.
I nostri non avrebbero potuto affidarsi così completamente alle mani del loro stesso buon senso, se non fossero stati separati dalla stirpe dei loro padri e preservati dalla contaminazione, sia da parte di loro stessi, sia da parte di altri popoli del vecchio mondo, da un così vasto oceano.
Per riconoscere il valore di questo, se ne deve vedere il bisogno che si avverte qui.
Penso che la legge veramente più importante del nostro intero codice sia quella per la diffusione della conoscenza presso il popolo.
Non può essere escogitato altro sicuro fondamento per la conservazione della libertà e della felicità.
Se c'è qualcuno che pensa che re, nobili o preti siano buoni tutori della felicità pubblica, che li mandino qui. E' la migliore scuola per curarli da tale follia. Vedranno qui con i loro stessi occhi che quei generi d'uomo sono una depravata conventicola contro la felicità della gran parte del popolo.
L'onnipotenza delle conseguenze non può essere meglio accertata che in questo paese in particolare, ove nonostante il miglior suolo sulla terra, il migliore clima sotto i cieli e un popolo tra i più benevolenti, dal carattere più gioioso ed amabile di cui la forma umana sia capace, dove un tale popolo, dicevo, circondato da così tante benedizioni dalla natura, è tuttavia vittima della miseria per via dei re, dei nobili e dei preti, e da loro soltanto.
Predicate, signore mio caro, una crociata contro l'ignoranza; istituite e migliorate la legge per l'educazione della gente comune. Che i nostri compatrioti sappiano che solo il popolo può difenderci contro questi mali, e che le tasse che saranno pagate a tal fine non sono più della millesima parte di ciò che sarà pagato a re, preti e nobili che sorgeranno tra di noi se abbandoniamo il popolo all'ignoranza.
Il popolo d'Inghilterra, io penso, è meno oppresso che questo. Ma basterebbe un occhio soltanto per vedere che, presso di loro, sono poste le fondamenta per l'istituzione di un dispotismo dalla loro stessa indole. Nobiltà, ricchezza e fasto sono gli oggetti della loro adorazione. Essi non sono in nessun modo le persone di idee aperte come ce le immaginiamo in America. Le persone istruite sono troppo poche di numero, e sono meno istruite e infinitamente meno emancipate dal pregiudizio che quelle di questa nazione.
Sembra pure che si stia preparando un avvenimento, per come si stanno mettendo le cose, che deciderà probabilmente il destino di quella nazione. E' ormai certo che il porto di Cherburg sarà completato, che sarà eccellente, e abbastanza grande da contenere l'intera marina francese. Non per permettere a questa nazione di invadere l'altra, ma per dislocare una forza navale appropriata per proteggere i trasporti. Questa nuova situazione spingerà gli inglesi a mantenere un grosso esercito permanente, e non c'è re che, dotato di forze adeguate, non sia tentato dall'assolutismo.
Questa mia carta mi avverte che è tempo di raccomandarmi all'amichevole ricordo della Sig.ra Wythe, di Colo. Tagliaferro e della sua famiglia e in particolare del signor R. T.; e di assicurare Voi dell'affettuosa stima per la quale, caro Signore, sono
Vostro devotissimo e amico.
According to our will
A ISAAC H. TIFFANY
Monticello, 4 Aprile, 1819.
SIGNORE, - Dopo averVi ringraziato per il completo prospetto del governo degli Stati Uniti, Vi debbo dare la risposta che sono obbligato a dare a tutti quelli che mi propongono di rituffarmi nelle speculazioni politiche.
"Senex sum, et laecrissimis [sic?]curis impar." Ho abbandonato la politica, e mi sono serenamente adattato a lasciare le cose come sono, fiducioso nella saggezza di quelli che le dirigono, e nel fatto che esse non potranno che migliorare, dirette sulla rotta progressiva della conoscenza e dell'esperienza. I nostri successori cominciano dove noi ci siamo fermati. Loro sanno tutto ciò che sappiamo noi, e aggiungeranno al nostro capitale le scoperte dei prossimi 50 anni; e quanto varrà la loro parte possiamo stimarlo da ciò che i passati 50 anni hanno aggiunto alla scienza delle questioni umane.
I pensieri di altri, che leggo sui giornali, sono per me svago e diletto; ma occupare la mente in astruse indagini diventa molesto, e lo stesso scrivere diviene un'operazione lenta e dolorosa, causata da un polso rigido, la coseguenza di una vecchia slogatura.
In ogni caso tratterò la due definizioni che Voi dite essere di maggior interesse attualmente. Intendo quelle dei termini Libertà e Repubblica, cosciente del fatto che comunque esse sono state applicate in tanti modi così disparati da non suggerire nessuna idea precisa all'intelletto.
Per quanto riguarda la Libertà allora direi che nella pienezza della sua estensione, è libera azione conforme alla nostra volontà. Ma la giusta Libertà è libera azione conforme alla nostra volontà, entro i limiti segnati intorno a noi dagli altrui eguali diritti.
Non aggiungo "entro i limiti della legge" poichè la legge spesso altro non è che l'arbitrio del tiranno, ed è sempre così quando vìola i diritti dell'individuo.
Aggiungerò in secondo luogo che una perfetta repubblica è una condizione della società nella quale ciascun membro, di mente matura e sana, ha eguale diritto di partecipare, personalmente, nella direzione degli affari della società.
Un tale regime è ovviamente impraticabile oltre le dimensioni di un accampamento, o un di villaggio molto piccolo. Quando il numero, la distanza, o la forza li obbligano ad agire per delega, allora il loro governo rimane repubblicano solo nella misura delle maggiori o minori funzioni che essi esercitano di persona, e solo se quelle esercitate per delega vengono esercitate da delegati che agiscono come meri supplenti temporanei, o per più o meno fini, o per periodi più lunghi o più corti.
Se per il termine "governo" intendete una classificazione delle sue forme, Vi devo rimandare alla più valida che sia mai stata data, cioè alla recensione di Montesquieu di Tracy(*), la più competente opera di politica che l'ultimo centinaio d'anni ci abbia dato. E' stata tradotta dall'originale manoscritto, e pubblicata da Duane pochi anni or sono; ed è ancora pubblicata nell'originale francese a Parigi.
Con i miei ringraziamenti per il vostro prospetto, vogliate accettare l'assicurazione del mio grande rispetto.
Monticello, 4 Aprile, 1819.
SIGNORE, - Dopo averVi ringraziato per il completo prospetto del governo degli Stati Uniti, Vi debbo dare la risposta che sono obbligato a dare a tutti quelli che mi propongono di rituffarmi nelle speculazioni politiche.
"Senex sum, et laecrissimis [sic?]curis impar." Ho abbandonato la politica, e mi sono serenamente adattato a lasciare le cose come sono, fiducioso nella saggezza di quelli che le dirigono, e nel fatto che esse non potranno che migliorare, dirette sulla rotta progressiva della conoscenza e dell'esperienza. I nostri successori cominciano dove noi ci siamo fermati. Loro sanno tutto ciò che sappiamo noi, e aggiungeranno al nostro capitale le scoperte dei prossimi 50 anni; e quanto varrà la loro parte possiamo stimarlo da ciò che i passati 50 anni hanno aggiunto alla scienza delle questioni umane.
I pensieri di altri, che leggo sui giornali, sono per me svago e diletto; ma occupare la mente in astruse indagini diventa molesto, e lo stesso scrivere diviene un'operazione lenta e dolorosa, causata da un polso rigido, la coseguenza di una vecchia slogatura.
In ogni caso tratterò la due definizioni che Voi dite essere di maggior interesse attualmente. Intendo quelle dei termini Libertà e Repubblica, cosciente del fatto che comunque esse sono state applicate in tanti modi così disparati da non suggerire nessuna idea precisa all'intelletto.
Per quanto riguarda la Libertà allora direi che nella pienezza della sua estensione, è libera azione conforme alla nostra volontà. Ma la giusta Libertà è libera azione conforme alla nostra volontà, entro i limiti segnati intorno a noi dagli altrui eguali diritti.
Non aggiungo "entro i limiti della legge" poichè la legge spesso altro non è che l'arbitrio del tiranno, ed è sempre così quando vìola i diritti dell'individuo.
Aggiungerò in secondo luogo che una perfetta repubblica è una condizione della società nella quale ciascun membro, di mente matura e sana, ha eguale diritto di partecipare, personalmente, nella direzione degli affari della società.
Un tale regime è ovviamente impraticabile oltre le dimensioni di un accampamento, o un di villaggio molto piccolo. Quando il numero, la distanza, o la forza li obbligano ad agire per delega, allora il loro governo rimane repubblicano solo nella misura delle maggiori o minori funzioni che essi esercitano di persona, e solo se quelle esercitate per delega vengono esercitate da delegati che agiscono come meri supplenti temporanei, o per più o meno fini, o per periodi più lunghi o più corti.
Se per il termine "governo" intendete una classificazione delle sue forme, Vi devo rimandare alla più valida che sia mai stata data, cioè alla recensione di Montesquieu di Tracy(*), la più competente opera di politica che l'ultimo centinaio d'anni ci abbia dato. E' stata tradotta dall'originale manoscritto, e pubblicata da Duane pochi anni or sono; ed è ancora pubblicata nell'originale francese a Parigi.
Con i miei ringraziamenti per il vostro prospetto, vogliate accettare l'assicurazione del mio grande rispetto.
A Very Dangerous Doctrine Indeed
A WILLIAM CHARLES JARVIS
Monticello, 28 Settembre, 1820.
Vi ringrazio, Signore, per la copia del vostro "Republican"(*) che siete stato così gentile da inviarmi, e avrei dovuto ringraziarVi prima, ma sono appena tornato a casa da una lunga assenza. Non ho ancora avuto il tempo di leggerlo con attenzione, ma ad una lettura superficiale vi scorgo molto da approvare, e sarei grato se esso potesse condurre la nostra gioventù alla pratica di ragionare su tali argomenti e su loro stessi. Sarebbe da sperare che esso abbia questo orientamento, e per questa ragione sento la necessità di segnalarVi un errore che ritengo possa essere contenuto in esso, la segnalazione della quale si rende necessaria giacché la vostra opinione è fortificata da quella di molti altri.
Sembra che Voi, alle pagine 48 e 148, consideriate i giudici come arbitri ultimi di tutte le questioni che riguardano la Costituzione; una dottrina invero pericolosa, e una che ci potrebbe sottoporre al dispotismo di un oligarchia. I nostri giudici sono onesti tanto quanto gli altri uomini, e non di più di questo. Essi hanno, come altri, la stessa passione per i partiti, i poteri e i privilegi della loro corporazione. La loro massima è “boni judicis est ampliare jurisdictionem,” e il loro potere è tanto più pericoloso quando la loro carica è vitalizia, e non sono responsabili, come altri funzionari, di fronte ad un controllo elettivo. La Costituzione non ha istituito un tale tribunale unico, sapendo che a qualsiasi mano venga affidato, con la corruzione del tempo e delle partigianerie, i suoi membri diventerebbero despoti. Essa ha più saggiamente reso tutti i dipartimenti eguali e sovrani per sè stessi. Se il potere legislativo non riesce a far passare una legge per il censimento, per pagere i giudici e altri funzionari del governo, per stabilire una milizia, per la naturalizzazione come prescritto dalla costituzione, o se non riesce a riunirsi al congresso, i giudici non possono inviare un ingiunzione; se il Presidente non riesce ad assegnare una carica di giudice, a nominare altri funzionari civili o militari, a istituire le necessarie commissioni, i giudici non possono costringerlo. Essi non possono emettere ingiunzioni e restrizioni a qualsiasi funzionario legislativo o esecutivo per costringerlo a compiere i suoi doveri d'ufficio, non diversamente dal Presidente o da un membro del congresso che non possono dare ordini a un giudice o ai suoi funzionari.
Traditi dall'esempio britannico e inconsapevoli, come sembrerebbe, del controllo della nostra Costituzione in questi particolari, essi hanno a volte scavalcato i loro limiti assumendosi la responsabilità di comandare funzionari dell'esecutivo, noncuranti dei doveri esecutivi di questi; ma la costituzione, mantenendo queste tre funzioni distinte e indipendenti, limita il potere dei giudici agli organi giudiziari, così come i poteri esecutivo e legislativo sono limitati agli organi esecutivi e legislativi. Certamente i giudici hanno più frequenti occasioni per agire su questioni costituzionali, poichè le leggi sulla proprietà e sulle azioni criminali, essendo la gran massa del sistema delle leggi, costituiscono l'ambito del loro particolare dipartimento. Quando funzionari dell'esecutivo o del legislativo agiscono in maniera incostituzionale, sono responsabili verso il popolo nella loro eleggibilità. L'esenzione dei giudici da questa possibilità è abbastanza pericolosa in sè. Non conosco alcun altro sicuro deposito del fondamentale potere della società che il popolo stesso; e se noi pensiamo che essi non siano abbastanza illuminati da esercitare il loro controllo in piena discrezionalità, il rimedio non è di privargliene, ma informare la loro discrezionalità con l'educazione. Questo è il vero correttivo degli abusi del potere costituzionale.
Vogliate perdonarmi, Signore, per questa differenza d'opinioni. Il mio interesse personale in queste faccende è completamente esaurito, ma non il mio desiderio per la più lunga continuità possibile del nostro governo nei suoi principi più puri; qualora i tre poteri mantengano la loro reciproca indipendenza dagli altri potrebbe durare molto, ma non sarebbe così se ognuno pretendesse di assumersi le autorità degli altri. Vi chiedo una sincera riconsiderazione di questa materia, e sono sufficientemente sicuro che arriverete ad una conclusione imparziale.
Vogliate accettare l'assicurazione del mio grande rispetto.
Thomas Jefferson
Monticello, 28 Settembre, 1820.
Vi ringrazio, Signore, per la copia del vostro "Republican"(*) che siete stato così gentile da inviarmi, e avrei dovuto ringraziarVi prima, ma sono appena tornato a casa da una lunga assenza. Non ho ancora avuto il tempo di leggerlo con attenzione, ma ad una lettura superficiale vi scorgo molto da approvare, e sarei grato se esso potesse condurre la nostra gioventù alla pratica di ragionare su tali argomenti e su loro stessi. Sarebbe da sperare che esso abbia questo orientamento, e per questa ragione sento la necessità di segnalarVi un errore che ritengo possa essere contenuto in esso, la segnalazione della quale si rende necessaria giacché la vostra opinione è fortificata da quella di molti altri.
Sembra che Voi, alle pagine 48 e 148, consideriate i giudici come arbitri ultimi di tutte le questioni che riguardano la Costituzione; una dottrina invero pericolosa, e una che ci potrebbe sottoporre al dispotismo di un oligarchia. I nostri giudici sono onesti tanto quanto gli altri uomini, e non di più di questo. Essi hanno, come altri, la stessa passione per i partiti, i poteri e i privilegi della loro corporazione. La loro massima è “boni judicis est ampliare jurisdictionem,” e il loro potere è tanto più pericoloso quando la loro carica è vitalizia, e non sono responsabili, come altri funzionari, di fronte ad un controllo elettivo. La Costituzione non ha istituito un tale tribunale unico, sapendo che a qualsiasi mano venga affidato, con la corruzione del tempo e delle partigianerie, i suoi membri diventerebbero despoti. Essa ha più saggiamente reso tutti i dipartimenti eguali e sovrani per sè stessi. Se il potere legislativo non riesce a far passare una legge per il censimento, per pagere i giudici e altri funzionari del governo, per stabilire una milizia, per la naturalizzazione come prescritto dalla costituzione, o se non riesce a riunirsi al congresso, i giudici non possono inviare un ingiunzione; se il Presidente non riesce ad assegnare una carica di giudice, a nominare altri funzionari civili o militari, a istituire le necessarie commissioni, i giudici non possono costringerlo. Essi non possono emettere ingiunzioni e restrizioni a qualsiasi funzionario legislativo o esecutivo per costringerlo a compiere i suoi doveri d'ufficio, non diversamente dal Presidente o da un membro del congresso che non possono dare ordini a un giudice o ai suoi funzionari.
Traditi dall'esempio britannico e inconsapevoli, come sembrerebbe, del controllo della nostra Costituzione in questi particolari, essi hanno a volte scavalcato i loro limiti assumendosi la responsabilità di comandare funzionari dell'esecutivo, noncuranti dei doveri esecutivi di questi; ma la costituzione, mantenendo queste tre funzioni distinte e indipendenti, limita il potere dei giudici agli organi giudiziari, così come i poteri esecutivo e legislativo sono limitati agli organi esecutivi e legislativi. Certamente i giudici hanno più frequenti occasioni per agire su questioni costituzionali, poichè le leggi sulla proprietà e sulle azioni criminali, essendo la gran massa del sistema delle leggi, costituiscono l'ambito del loro particolare dipartimento. Quando funzionari dell'esecutivo o del legislativo agiscono in maniera incostituzionale, sono responsabili verso il popolo nella loro eleggibilità. L'esenzione dei giudici da questa possibilità è abbastanza pericolosa in sè. Non conosco alcun altro sicuro deposito del fondamentale potere della società che il popolo stesso; e se noi pensiamo che essi non siano abbastanza illuminati da esercitare il loro controllo in piena discrezionalità, il rimedio non è di privargliene, ma informare la loro discrezionalità con l'educazione. Questo è il vero correttivo degli abusi del potere costituzionale.
Vogliate perdonarmi, Signore, per questa differenza d'opinioni. Il mio interesse personale in queste faccende è completamente esaurito, ma non il mio desiderio per la più lunga continuità possibile del nostro governo nei suoi principi più puri; qualora i tre poteri mantengano la loro reciproca indipendenza dagli altri potrebbe durare molto, ma non sarebbe così se ognuno pretendesse di assumersi le autorità degli altri. Vi chiedo una sincera riconsiderazione di questa materia, e sono sufficientemente sicuro che arriverete ad una conclusione imparziale.
Vogliate accettare l'assicurazione del mio grande rispetto.
Thomas Jefferson
Open the doors of truth
Al Giudice John Tyler
Washington, 28 giugno, 1804
CARO SIGNORE, -- la Vostra del 10 del mese corrente è stata puntualmente ricevuta. Tra le falsità dirette, le travisazioni della realtà, le calunnie e gli insulti ai quali ha fatto ricorso una fazione con l'intento di fuorviare la pubblica opinione, e sopraffare coloro ai quali è affidata la cura dei suoi interessi, il nostro supporto va trovato nella voce approvante della nostra coscienza e della nostra nazione, nella testimonianza dei nostri concittadini, così che la loro fiducia non è rimasta provata da tali artifizi. Quando ai plausi dell'onesta moltitudine, si aggiunge la sobria approvazione del saggio nel suo studio, ciò diviene gratificazione del più alto grado. E' l'approvazione della saggezza che si aggiunge alla voce dell'affetto.
I termini, quindi, con i quali siete così bravo ad esprimere la Vostra soddisfazione per il corso della presente amministrazione non potrebbero darmi più piacere. Io potrei errare nelle mie misure, ma non potrei mai deviare dall'intenzione di fortificare le pubbliche libertà in ogni possibile modo, e togliere dalle mani dei pochi il potere di rivoltarsi contro le opere dei molti. Nessun esperimento potrebbe essere più interessante di quello in cui siamo impegnati ora, e del quale crediamo finirà per dimostrare il fatto che l'uomo può essere governato dalla ragione e dalla verità. Il nostro primo obiettivo deve essere quindi quello di lasciargli aperte tutte le strade per la verità. Il nostro ritrovato migliore finora è la libertà di stampa. E' quindi la prima che viene zittita da quelli che temono che le loro azioni vengano indagate. La fermezza con la quale il popolo ha opposto resistenza ai recenti abusi della stampa, la capacità di discernimento tra la verità e le falsità da loro manifestata , mostra come ad essi possa essere concessa fiducia con sicurezza nello scegliere il vero dal falso, e nel formarsi di un corretto giudizio tra di loro. E' necessario poco per imporsi ai loro sensi, o abbagliare le loro opinioni con la pompa, lo splendore o la forma. Al posto di questi artifizi, com'è più sicuro quel vero rispetto, che è il risultato dell'uso della ragione, e l'abitudine di sottoporre qualunque cosa alla prova del buon senso.
Ritengo quindi, per certo, che aprire le porte della verità, e fortificare l'uso di esaminare ogni cosa con la ragione, siano le più efficaci manette con cui possiamo legare le mani dei nostri successori al fine di evitare che siano loro a mettere in ceppi il popolo con il loro stesso consenso. Il panico in cui vennero ad arte gettati nel 1789 [vedi Alien and Sedition Acts, ndG ], la frenesia che è stata loro indotta dai loro nemici, con la quale volevano, con apparente prontezza, abbandonare i principi stabiliti per la loro stessa protezione, sembrarono per un po' incoraggiare le opinioni di chi dice che ad essi non vada affidato il loro stesso governo. Ma io non ho mai dubitato della loro ripresa, ed essi si sono riavuti più prestamente di quanto mi aspettassi. Tutto considerato, questo esperimento sulla loro credulità ha confermato la mia fiducia nel loro fondamentale buon senso e virtù.
Mi dolgo di venire a conoscenza che una simile sfortuna Vi abbia fatto provare l'afflizione di un padre che perde un amato figlio. Per quanto sia terribile la possibilità di un altro accidente simile, è comunque una benedizione di inestimabile valore per Voi che non dobbiate scendere nella tomba senza discendenza. Tre figli, per giunta promettenti, sono un ricco tesoro. Io gioisco quando intendo di giovani di virtù e talento, degni di ricevere e verosimilmente preservare il meraviglioso lascito dell'autogoverno, il quale abbiamo acquisito e formato per loro. Il complemento di guardiamarina per lo squadrone tripolitano è al completo; e io spero che le fregate abbiano già lasciato i Capi a quest'ora. Oggi ho comunque firmato i mandati per guardiamarina per i due giovani gentiluomini che mi avete raccomandato. Questi verranno inoltrati dal Segretario della Marina. Questi mi dice che il loro primo servizio sarà probabilmente a bordo di cannoniere.
Accettate i miei amichevoli saluti, e assicurazioni di grande stima e rispetto
Washington, 28 giugno, 1804
CARO SIGNORE, -- la Vostra del 10 del mese corrente è stata puntualmente ricevuta. Tra le falsità dirette, le travisazioni della realtà, le calunnie e gli insulti ai quali ha fatto ricorso una fazione con l'intento di fuorviare la pubblica opinione, e sopraffare coloro ai quali è affidata la cura dei suoi interessi, il nostro supporto va trovato nella voce approvante della nostra coscienza e della nostra nazione, nella testimonianza dei nostri concittadini, così che la loro fiducia non è rimasta provata da tali artifizi. Quando ai plausi dell'onesta moltitudine, si aggiunge la sobria approvazione del saggio nel suo studio, ciò diviene gratificazione del più alto grado. E' l'approvazione della saggezza che si aggiunge alla voce dell'affetto.
I termini, quindi, con i quali siete così bravo ad esprimere la Vostra soddisfazione per il corso della presente amministrazione non potrebbero darmi più piacere. Io potrei errare nelle mie misure, ma non potrei mai deviare dall'intenzione di fortificare le pubbliche libertà in ogni possibile modo, e togliere dalle mani dei pochi il potere di rivoltarsi contro le opere dei molti. Nessun esperimento potrebbe essere più interessante di quello in cui siamo impegnati ora, e del quale crediamo finirà per dimostrare il fatto che l'uomo può essere governato dalla ragione e dalla verità. Il nostro primo obiettivo deve essere quindi quello di lasciargli aperte tutte le strade per la verità. Il nostro ritrovato migliore finora è la libertà di stampa. E' quindi la prima che viene zittita da quelli che temono che le loro azioni vengano indagate. La fermezza con la quale il popolo ha opposto resistenza ai recenti abusi della stampa, la capacità di discernimento tra la verità e le falsità da loro manifestata , mostra come ad essi possa essere concessa fiducia con sicurezza nello scegliere il vero dal falso, e nel formarsi di un corretto giudizio tra di loro. E' necessario poco per imporsi ai loro sensi, o abbagliare le loro opinioni con la pompa, lo splendore o la forma. Al posto di questi artifizi, com'è più sicuro quel vero rispetto, che è il risultato dell'uso della ragione, e l'abitudine di sottoporre qualunque cosa alla prova del buon senso.
Ritengo quindi, per certo, che aprire le porte della verità, e fortificare l'uso di esaminare ogni cosa con la ragione, siano le più efficaci manette con cui possiamo legare le mani dei nostri successori al fine di evitare che siano loro a mettere in ceppi il popolo con il loro stesso consenso. Il panico in cui vennero ad arte gettati nel 1789 [vedi Alien and Sedition Acts, ndG ], la frenesia che è stata loro indotta dai loro nemici, con la quale volevano, con apparente prontezza, abbandonare i principi stabiliti per la loro stessa protezione, sembrarono per un po' incoraggiare le opinioni di chi dice che ad essi non vada affidato il loro stesso governo. Ma io non ho mai dubitato della loro ripresa, ed essi si sono riavuti più prestamente di quanto mi aspettassi. Tutto considerato, questo esperimento sulla loro credulità ha confermato la mia fiducia nel loro fondamentale buon senso e virtù.
Mi dolgo di venire a conoscenza che una simile sfortuna Vi abbia fatto provare l'afflizione di un padre che perde un amato figlio. Per quanto sia terribile la possibilità di un altro accidente simile, è comunque una benedizione di inestimabile valore per Voi che non dobbiate scendere nella tomba senza discendenza. Tre figli, per giunta promettenti, sono un ricco tesoro. Io gioisco quando intendo di giovani di virtù e talento, degni di ricevere e verosimilmente preservare il meraviglioso lascito dell'autogoverno, il quale abbiamo acquisito e formato per loro. Il complemento di guardiamarina per lo squadrone tripolitano è al completo; e io spero che le fregate abbiano già lasciato i Capi a quest'ora. Oggi ho comunque firmato i mandati per guardiamarina per i due giovani gentiluomini che mi avete raccomandato. Questi verranno inoltrati dal Segretario della Marina. Questi mi dice che il loro primo servizio sarà probabilmente a bordo di cannoniere.
Accettate i miei amichevoli saluti, e assicurazioni di grande stima e rispetto
All eyes are opened
MONTICELLO, 24 giugno, 1826
STIMATO SIGNORE, -Il gentile invito che ricevo da Voi, per conto dei cittadini di Washington, di presenziare con loro alla celebrazione del cinquantesimo anniversario dell'Indipendenza Americana, in qualità di uno dei firmatari sopravvissuti di uno strumento così importante per noi, e i destini del mondo, è oltremodo lusinghiero per me, e accresciuto dall'onorabile accompagnamento che mi proponete per rendere confortevole un simile viaggio.
La sofferenza della malattia è sensibilmente acuita dall'essere privato dalla stessa della mia personale partecipazione al giubilo di quella giornata.
Purtroppo l'acquiescenza è obbligo, nelle circostanze che non sono tra quelle che ci è permesso controllare.
Avrei voluto, sinceramente, con particolare gioia, incontrare e congratularmi personalmente con quel piccolo gruppo, i rimanenti di quella meritevole schiera, che si unì a noi in quel giorno, nella coraggiosa e incerta scelta che facemmo per il nostro paese, tra la sottomissione o la spada; avrei voluto anche felicitarmi con loro della consolatoria constatazione che i nostri concittadini, dopo mezzo secolo di esperienza e prosperità, continuano ad approvare la scelta che facemmo.
Che questo sia per il mondo, quello che io credo che sia, (per alcune parti prima, più tardi per altre, ma finalmente a tutte,) il segnale che spinga gli uomini a spezzare le catene alle quali l'ignoranza monacale e la superstizione li hanno forzati a legarsi, e ad assumersi le benedizioni e la sicurezza dell'autogoverno. Quella forma con la quale abbiamo sostituito la precedente, che reintegra il libero diritto all'illimitato esercizio della ragione e della libertà d'opinione.
Tutti gli occhi sono aperti, o si stanno aprendo, sui diritti degli uomini.
Il generale diffondersi della luce della scienza ha già lasciato aperto alla vista di tutti la concreta verità, che la maggioranza dell'umanità non è nata con la sella sulla groppa, e nemmeno che una privilegiata minoranza è nata con stivali e speroni, pronta a cavalcare gli altri in piena legittimità, per grazia di Dio.
Queste sono le fondamenta della speranza per altri.
Per noi, che il ricorrere annuale di questo giorno rinvigorisca il ricordo di questi diritti, e la non sminuita devozione per essi. Chiedo qui licenza di esprimere il piacere con il quale avrei voluto incontrare i miei antichi vicini della città di Washington e dintorni, con i quali ho passato così tanti anni di piacevoli rapporti sociali, rapporti che così tanto hanno mitigato le ansie del pubblico ufficio, e hanno lascito tracce così profondamente scolpite nei miei affetti, che mai potrei dimenticare.
Con il rimpianto che la mia salute malferma mi proibisca la gratifica di un consenso, Vi prego di accettare per Voi stesso e per coloro i quali scrivete, l'assicurazione del mio più grande rispetto e amichevole affetto.
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